mercoledì 8 ottobre 2008

L'acqua che ci interessa non è solo quella delle paratie...

... per questo pubblichiamo sul blog le notizie relative alla campagna ACQUA PUBBLICA.

La provincia, mercoledì 27 agosto 2008

A mollo in un oceano di rincari
Triplica la bolletta dell'acqua
Autunno a rischio: 780 milioni di investimenti in Provincia da
coprire con gli aumenti

Inflazione in crescita, bollette roventi, carburanti e combustibili
alle stelle, fiscalità pesante: erano solo carezze. «La stangata arriva
in autunno», annunciano gli esperti e, benchè non subito, riguarderà
anche l'acqua.
Ogni anno, a causa delle perdite nelle tubazioni, ne vanno sprecati
otto milioni di metri cubi l'anno, pari al 16.87% del volume prelevato
negli acquedotti: agli interventi di questo tipo, dovranno concorrere
gli utenti. E nel senso dei mancati introiti per il blocco del sistema
tariffario dal 2003. Nel territorio comasco, il prezzo medio dell'acqua
è variabile da zona a zona e secondo le fasce di consumi. Per ogni
metro cubo consumato, 1000 litri, statisticamente la tariffa media è di
0.38 euro, da un minimo di 0.18 a un massimo di 0.56. Nel giro di pochi
mesi, arriverà all'unificazione su tutto il territorio: 1.04 euro il
metro cubo e poi salirà a 2.60 euro, ma potrebbe arrivare fino a 5 euro
il metro cubo, in relazione agli eventi, investimenti e tempi di
ammortamento. La tariffa unica per acquedotto, fognatura e depurazione
è attualmente 0.80 euro per metro cubo. Arriverà a 1,55 euro,
gradualmente.

investimenti da 780 milioni
Quali eventi: tutto comincia con l'istituzione dell'Ato, «ambito
territoriale ottimale», del quale fanno parte tutti i Comuni della
provincia di Como. La proprietà delle reti e degli impianti sarà
affidata a ComoAcqua, società pubblica già costituita
dall'amministrazione provinciale e in attesa delle adesioni dei Comuni,
titolare degli investimenti, 780 milioni di euro di investimenti, da
coprire anche con gli aumenti tariffari, necessari per costruire o
sostituire attrezzature e potenziarle, migliorare la qualità. Ma la
gestione sarà appaltata a una società e una si sta costituendo per
partecipare: a capo Acsm, sarà un'associazione di imprese già attive
sul territorio. Il solo servizio acquedotto attualmente è svolto da 11
società diverse. È prevista entro fine anno la pubblicazione della gara
d'appalto e Acsm sostiene esplicitamente la necessità di procedere con
il nuovo modello nel quale rientra l'adeguamento delle tariffe. «I
ricavi dell'acquedotto civile - afferma nella relazione semestrale resa
nota l'altro ieri - continuano ad essere fortemente condizionati dal
sostanziale blocco del sistema tariffario: si attestano a 3.1 milioni
di euro» e ricorda che «la Conferenza dei sindaci dell'Ato ha
licenziato un piano tariffario e degli investimenti al quale è seguita
la scelta del modello gestionale destinato a governare l'intero settore
idrico: l'evoluzione attesa a breve apre prospettive di sicuro
interesse per il ruolo di Acsm e il 2008 potrebbe diventare l'anno di
una svolta». È una complessa questione di procedure, gare, appalti e il
presidente di Acsm, Giorgio Pozzi, assicura che l'adeguamento delle
tariffe non è a fondo perso e tantomeno speculativo. È destinato al
miglioramento del servizio. E se la tariffa raddoppia, sarà pur sempre
inferiore a quella attuale praticata in Europa: a Berlino, un metro
cubo d'acqua è quotato sei euro, per esempio, e un metro cubo di acqua
minerale dalle nostre parti vale 260 euro.

servizio, non consumo
«I costi dell'acqua sono legati alla tipologia del servizio. È
secondario il consumo effettivo», premette l'assessore provinciale
all'Ecologia, Francesco Cattaneo, che ha coordinato la formazione e
l'attivazione dell'Ato e di ComoAcqua. «I conti, nel concreto: 30
centesimi a metro cubo, per 30 metri cubi a testa consumati all'anno,
fanno nove euro. Trenta metri cubi equivalgono a 30mila litri. Il costo
per litro è infinitesimale: 0.0003 euro e resta infinitesimale anche
con il raddoppio - calcola l'assessore - Però, consente l'accrescimento
dell'efficienza tecnica ed economica del servizio idrico».
Maria Castelli


27/08/2008
il cavallo di caligola
Il primo anello di una catena

L'annuncio di una stangata prossima ventura anche sul prezzo
dell'acqua verrà accolto come tutti gli altri aumenti, che ormai
riguardano ogni cosa, ogni prezzo, ogni tariffa. Un sospiro e via.
Eppure, per quanto ce ne venga spiegata la necessità con una serie di
buone ragioni (fra l'altro non si può continuare a perdere dai buchi
dell'acquedotto milioni di metri cubi all'anno) l'aumento annunciato
dell'acqua aggrava sensibilmente un quadro già sufficientemente nero.
Contro gli altri "ritocchi" di prezzo c'è quasi sempre la maniera
(per la verità più teorica che pratica) di combattere: perfino contro
le quotazioni folli della benzina i consumatori non hanno del tutto
alzato le braccia, tanto è vero che i consumi di carburante hanno
subìto nell'ultimo anno riduzioni non marginali. Si finirà per mangiare
meno pasta e meno pane, si contrarranno anche i consumi alimentari fino
allo stretto necessario, ma l'acqua? Si può davvero risparmiare - al di
là dei deliri di chi propone una doccia al mese... - sul consumo
dell'acqua?
E rimarrà senza conseguenze questo aumento che riguarda un bene così
universalmente indispensabile, oppure tutti coloro che sono in
condizione di farlo scaricheranno quest'onere ulteriore sul prezzo dei
beni o dei servizi che a loro volta vendono?
L'esperienza consente a ognuno di noi di fornire facilmente la
risposta. Una riposta che dovrebbe consigliare la massima prudenza nel
decidere aumenti fatalmente destinati a generare altri aumenti.
a.marino@laprovincia.it


27/08/2008
La scheda
Moderare i consumi
Qualche consiglio

Risparmiare è possibile
Alcuni piccoli accorgimenti consentono di incrementare il risparmio
dell'acqua, secondo i consigli di tre associazioni di consumatori,
Adiconsum, Federconsumatori e Altroconsumo.

Innaffiare senza sprecare
La terra troppo calda favorisce, naturalmente, l'evaporazione
dell'acqua. Specie durante la stagione estiva, è dunque sconsigliabile
innaffiare con il sole. Gli impianti di irrigazione automatica goccia a
goccia tagliano i consumi. Tenere l'erba un po' più alta aiuta a non
disperdere l'umidità del prato.

Usare un frangigetto
Mai lasciare il rubinetto inutilmente aperto. In un minuto possono
fuoriuscirne anche 20 litri d'acqua. L'utilizzo di un frangigetto che
immetta aria nel flusso consente di risparmiare tra il 30 e il 50%. Si
trovano in qualunque negozio di casalinghi.

Meglio sotto la doccia che in vasca
Utilizzare la doccia al posto della vasca da bagno permette di
consumare in media un terzo dell'acqua che sarebbe invece necessaria
per riempire una vasca, in grado di contenere circa 150 litri.

Attenti anche al water
Ogni volta che si fa scendere l'acqua, se ne utilizzano dai sei ai
dieci litri. Meglio allora usare impianti a pulsante o a manovella, che
possono essere calibrati secondo le necessità reali.

Gli elettrodomestici
Servirsene solo a pieno carico e con il ciclo economico aiuta
moltissimo. Ma è bene anche prestare attenzione alla manutenzione. Uno
scarico o un rubinetto difettosi determinano inutili sprechi.

Attenti all'auto
Lavarla con la canna? Come riempire una vasca: 150 litri. E dire che
ne basterebbero 20.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Vi segnalo anche questo:

L'Unità, 16.09.2008
http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=79031
Acqua ai privati, bollette da usura. Il nuovo oro è blu
Roberto Rossi

Più preziosa dell'oro, più redditizia del petrolio. In Italia l'acqua, da bene primario, da diritto fondamentale si sta trasformando in merce per multinazionali. Un business sempre più redditizio. Negli ultimi cinque anni le tariffe sono aumentate in media del 35 per cento. Una crescita seconda solo a quella del greggio. E figlia di una privatizzazione feroce, compiuta in nome di una falsa efficienza. Ottenuta, spesso, con la complicità delle istituzioni pubbliche che, per incompetenza o per colpa, hanno abbandonato agli appetiti dei privati il controllo e la gestione del sistema idrico.

Il punto di svolta è il 5 gennaio del 1994 con la Legge Galli (poi confluita nell'aprile 2006 nel Codice Ambientale) che viene emanata con l'obiettivo di semplificare la gestione pubblica delle acque, all'epoca ripartita tra ben novemila diversi soggetti. Vengono definiti 91 Ato (Ambiti territoriali ottimali), ovvero le aree di riferimento per la fornitura dei servizi idrici. Ciascun Ato è posto sotto il controllo degli enti locali. I quali, però, hanno spesso il doppio ruolo di azionisti affiancando i privati. Che in un mercato potenziale da 8 miliardi di euro si ficcano a capofitto. Come "Acea" o le multinazionali francesi "Suez" e "Veolia", che tra gestione e incroci azionari, si stanno mangiando fette di territorio a costo quasi zero. Perché i privati nell'acqua non investono o investono poco. Neanche il 10 per cento del dovuto.

Come rilevato dall'Antitrust, per l'acqua si assiste alla sostituzione di monopoli pubblici con monopoli privati. Una tendenza amplificata dalla Legge Tremonti del 6 agosto 2008 che rende ancora più complesso un ritorno degli enti locali alla gestione. Molti, infatti, ormai lo vorrebbero.
Contro questa deriva si batte il "Movimento per l'acqua pubblica" il cui II Forum nazionale si riunirà a metà novembre. Il nostro viaggio attorno al mondo dell'acqua privatizzata, invece, si concentra nel Lazio e in Toscana. Due regioni simbolo, da anni il punto di attacco al servizio idrico.

I ribelli di Aprilia

In via Aldo Moro 45 sono arrivati in tre, di buon mattino. Sono scesi dall’auto, si sono diretti verso la scatola dei contatori d’acqua, hanno individuato quello della redazione de “Il Caffè”, piccolo ma agguerrito bisettimanale locale, e applicato il riduttore di pressione, un congegno che strozza il tubo erogatore trasformandolo in una specie di contagocce. Il dispositivo è solo l’ultima delle armi utilizzate da “Acqualatina”, la società che gestisce la fornitura idrica nel Lazio meridionale, nella sua guerra per la gestione dell’acqua ad Aprilia.
“Acqualatina” nasce nel 2002 come società mista: il 51 per cento delle azioni appartiene ai trentotto comuni dell’area (Ato 4 del Lazio) e, dunque, formalmente la maggioranza è pubblica. Ma in realtà sono i privati, capeggiati dalla multinazionale francese “Veolia”, a gestire l’attività e a decidere gli investimenti.
La nuova società assume il controllo delle acque di Aprilia nel 2004 senza che il consiglio comunale abbia approvato quel “contratto di gestione” che, tra l’altro, dovrebbe specificare il sistema per il calcolo delle tariffe per gli utenti. Comunque, per un anno, nessuno se ne accorge. “Acqualatina” non si premura né di leggere né di censire i contatori. L’importo delle bollette resta uguale a quello della gestione pubblica.
La mazzata sugli utenti arriva un anno dopo. Vengono applicate nuove tariffe e nuovi criteri di calcolo sui consumi. Casalinghe e pensionati si vedono recapitare bollette con importi pari al doppio e anche al triplo di quanto avevano sempre pagato. Ci sono casi in cui il rincaro tocca il 3000 per cento. Elena Di Francesco, titolare di un bar, nel giugno del 2005 riceve una bolletta da quasi tremila euro per i consumi annuali del suo locale. Con la gestione pubblica non aveva mai pagato più di 600 euro.
La dissennata privatizzazione determina la nascita del Comitato per la difesa dell’acqua pubblica. «Abbiamo deciso - spiega Mauro Pontoni, il fondatore - di pagare le bollette direttamente al Comune applicando le tariffe pubbliche stabilite dal Cipe nel giugno del 2004». Sono mediamente inferiori del 250 per cento a quelle pretese da “Acqualatina”. In poco tempo il movimento arriva a raccogliere settemila utenti, più o meno la metà del totale. Ma la società di gestione non riconosce la validità dell’autoriduzione. Il denaro resta congelato nel conto corrente comunale mentre i cittadini, per la società privata, sono morosi.

Il fatto è che “Acqualatina” fa più o meno quello che vuole. La conferenza dei sindaci, alla quale la legge affida il compito di controllare, è assente. Anzi è presente, ma dall’altra parte della barricata. Quando la società nasce, il presidente del consiglio di amministrazione è un rappresentante delle istituzioni pubbliche, l’amministratore delegato è un manager della “Veolia”. E nel consiglio di amministrazione finisce tutto il gotha della politica locale.

A parziale consolazione degli utenti inferociti, il 23 gennaio del 2008 finiscono agli arresti sei dirigenti della società, a partire dal suo amministratore delegato, nonché ex presidente della Provincia, Paride Martella, passato dall’Udc all’Italia dei Valori, spiega Roberto Alessio di Legambiente, «nel giro di una notte».
Ma, nonostante l’intervento della magistratura gli amministratori rimangono al loro posto e “Acqualatina” va avanti nella sua guerra ai morosi. Attraverso la minaccia di chiudere le condotte, messa in atto con vigilantes armati e ruspe e, più spesso, come il caso de “Il Caffè”, con l’invio di tecnici armati di riduttore. L’ultima vittima, una pensionata residente in via Amsterdam. Quando i tecnici si sono presentati minacciando di chiudere l’acqua, ha avuto un malore ed è stata ricoverata in ospedale.

La «Ferrarelle» di Collelavena

Quando ci accoglie nella veranda della sua casa di Collelavena, una frazione del comune di Alatri, provincia di Frosinone, il barattolo di vetro è già in bella vista sul tavolo. Monica Ascenzi, trentenne da capelli mogano e viso forte, vi conserva dieci centimetri d’acqua. Almeno così la chiama. Perché non sembra acqua. Sul fondo del barattolo c’è uno strato di calcare bianco e candido come neve, alto due centimetri. Monica prende il barattolo, lo agita e l’acqua assume l’aspetto del latte. «È come una roccia liquida. Ne vuole un sorso?».

Lo strano fenomeno ha origine nel settembre del 2007. Per fare fronte alle periodiche carenze d’acqua in una zona comunque ricca di sorgenti, la “Acea Ato 5”, la società privata che gestisce le risorse idriche per il territorio di Frosinone, inizia a rifornire le case di circa 450 famiglie di Collelavena usando l’acqua di un pozzo comunale. Il pozzo raggiunge i 350 metri di profondità e perciò dovrebbe essere dotato di addolcitore. Ma “Acea Ato 5” non provvede a sistemarlo. «All’inizio usciva un’acqua frizzante. Sembrava Ferrarelle» dice Monica.

Ma l’illusione dura poco. «Nel giro di due giorni la Ferrarelle è diventata latte. Latte di roccia». Prima cominciano a intasarsi i tubi della doccia. A ruota si rompono la caldaia, la lavatrice e la lavastoviglie. Quando iniziano a morire gli animali, «cani, gatti, conigli, polli», Monica decide di agire. Nonostante le rassicurazioni del sindaco di Alatri Costantino Migliocca, che di mestiere fa il medico ginecologo, fa analizzare l’acqua nel laboratorio della Asl. Il responso è inquietante: dai rubinetti esce un liquido che ha una durezza di 77,5 gradi francesi. Per il consumo umano è consigliata una durezza tra i 15 e i 30 gradi e il limite massimo assoluto è fissato a 50. Monica e gli altri abitanti decidono di non usare più l’acqua della rete, né per mangiare, né per lavarsi.

«L’addolcitore di Collelavena - spiega Severo Lutrario, dell’osservatorio “Peppino Impastato” di Frosinone - è solo uno dei tanti mancati investimenti di Acea Ato 5». Eppure la società, posseduta per il 92 per cento da Acea, aveva stabilito nel «Piano d’ambito», e cioè la base della gara per la privatizzazione, di investire oltre 344 milioni euro in strutture, fognature, rete. Un quarto della cifra doveva concretizzarsi entro i primi cinque anni. «Invece se ne “cantierano” circa sei - spiega Fulvio Pica presidente dell’associazione di quartiere Colle Cottorino - Madonna della Neve - ma questo non vuol dire che siano poi stati realizzati».

Il fatto è che gli investimenti servono, per legge, a determinare le tariffe finali. Che nell’area di Frosinone nel giro di sei anni, da quando la gestione è stata privatizzata, sono schizzate in alto. Per la “fascia agevolata”, cioè quella più bassa, spiega Pica, «gli incrementi hanno superato del 95 per cento la tariffa di aggiudicazione e anche del 250 per cento le vecchie tariffe dei Comuni».
I mancati investimenti, naturalmente, hanno un costo sociale. Acea non garantisce i 150 litri al giorno di acqua potabile per abitante previsti dalla convenzione. «Alcune zone della città - denuncia Lutrario - soffrono periodicamente di interruzioni di servizio. Arrivi a casa e scopri e ti manca l’acqua». Chi può permetterselo si dota di cisterne, gli altri si mettono in fila davanti alla fontanella da dove, unica consolazione, sgorga ottima acqua di sorgente. In fila, come si faceva sessant’anni fa.
L’ha fatto anche Monica per circa nove mesi, finché l’Acea ha piazzato l’addolcitore. E’ successo un mese fa. «Oggi ci vado di meno perché almeno posso lavarmi a casa. Ma bere no, proprio non ci penso». Da sotto il tavolo tira fuori un altro barattolo di vetro. Sull’etichetta la data è settembre 2008. Il fondo di calcare si è ridotto a mezzo centimetro.

Tornare indietro? Il caso di Arezzo

Donatella Bidini ha un archivio particolare. Né dati, né dossier, ma bollette. Le sue bollette dell’acqua degli ultimi dieci anni. «Ecco guardi. Nel 1998, gestione pubblica, pagavo 173mila lire all’anno. Oggi pago 800 euro con gli stessi consumi».

Ad Arezzo tutti vorrebbero tornare a dieci anni fa, quando si decise di far entrare i privati nella gestione. Nel giro di un trimestre, in città e in molti altri comuni dell’area, le tariffe aumentarono mediamente del 45 per cento.

La storia comincia nel 1998 quando, per gestire l’Ato numero 4 della Toscana, che comprende 37 comuni (33 dei quali aretini, 4 senesi), viene creata la “Nuove Acque spa”. Come nel caso di Aprilia, si tratta di una società mista. Ai comuni va la maggioranza formale con il 53 per cento, ai privati il resto e la gestione. E anche qua la parte del leone la fa un gruppo francese. Non “Veolia”, questa volta, ma “Suez”, altro leader mondiale del settore. In società entrano anche due banche italiane: la Popolare dell’Etruria e Monte dei Paschi.

Con “Nuove Acque spa” la multinazionale Suez stabilisce rapporti redditizi. Soprattutto attraverso le “consulenze tecniche”, voce che comprende il «trasferimento del patrimonio di know-how e di professionalità». Il cui valore, originariamente fissato in sei miliardi di lire, nel giro di qualche mese lievita di quasi otto volte fino a raggiungere i 45 miliardi.

I privati dirigono il gioco. Spostano danaro, si aggiudicano appalti e applicano tariffe altissime. E, attraverso il project financing, ottengono anche il controllo formale della società. «Nel 2005 - spiega il sindaco di Anghiari Danilo Bianchi - “Nuove Acque spa” decide una serie di progetti di investimento. Per farlo servono tanti soldi». Settanta milioni circa. Non tutti i comuni sottoscrivono il progetto. Quelli che lo fanno sono costretti a chiedere un finanziamento. E sono proprio la Popolare dell’Etruria e Monte dei Paschi, le due banche italiane socie della “Suez”, a erogarlo. Applicano un tasso di interesse, variabile, al sette per cento, cioè di tre punti superiore a quello praticato dallo Stato con la Cassa depositi e prestiti. Come garanzia le banche chiedono in pegno ai comuni che lo sottoscrivono le loro azioni di “Nuove Acque”. E il gioco è fatto. La società è ormai controllata dai privati.

Ad Arezzo il tentativo di organizzare un movimento contro il caro-acqua fallisce, ma qualche cittadino decide comunque di agire individualmente. Una utente, Maria Rossi, si rifiuta di pagare la quota fissa della bolletta e porta “Nuove Acque” in tribunale riuscendo a ottenere il rimborso.

Il ricorso al giudice è una strada che una parte dei comuni (quelli dell’Alta Valle del Tevere, di tutti i colori politici) sta pensando di intraprendere per tornare alla gestione pubblica. «Indietro si può e si deve tornare», dice Carlo Schiatti, ex presidente «pentito» di Nuove Acque. «Me ne andai nel 2003 con una relazione dove dicevo tutto». E, tra l’altro: «Dobbiamo avere il coraggio di dire che abbiamo sbagliato. Il servizio idrico integrato non può essere privatizzato. Né in parte, perché gli amministratori pubblici non sono pronti a competere con i manager di professione, né del tutto. L’esperienza ha dimostrato che il servizio integrato deve restare pubblico. Onore a chi lo aveva capito prima».