lunedì 21 aprile 2008

Perchè contro




Territorio Precario

Adrenalina sviluppista




L’alluvione in Valtellina e il conseguente stanziamento di fondi pubblici per il bacino imbrifero dell’Adda ha dato fiato alle speranze di politici e amministratori locali comaschi di dar corpo alla propria “grande opera”, per giunta da realizzare nel punto più visibile della città, destinata a dar lustro ad un’amministrazione evidentemente insoddisfatta del battage (rimasto tale) sull’area ex Ticosa, del megaparcheggio del S. Anna destinato ad essere infrastruttura per future speculazioni immobiliari, del nuovo ospedale a Montano Lucino ed in attesa che la Pedemontana dia un’ulteriore contributo alla cementificazione e all’avvelenamento di una regione che ogni anno sacrifica al dio sviluppo il 3% del proprio territorio e difende l’aeroporto di Malpensa quale secondo Hub italiano (l’unico paese europeo con due pretesi Hub!) principale responsabile dei fallimentari conti di Alitalia e dell’impressionante accelerazione del tasso di inquinamento atmosferico dell’area a nord di Milano negli ultimi anni.Così, immersa in questo bendiddio, anche la sonnolenta Como avrà la sua scarica di adrenalina sviluppista, misurerà finalmente sulla propria pelle il senso dell’utilizzo di denaro pubblico per opere in gran parte inutili e le cui conseguenze di impatto sul territorio, ambientali ed economiche, emergeranno solo a frittata fatta.




Inutili, ma … molto “motivate”




Tra le argomentazioni dei fautori del progetto “per la difesa della città di Como dalle esondazioni del lago” c’è quella di sfruttare “l’occasione irripetibile” di utilizzare i fondi previsti dalla legge 102/90 (Disposizioni per la ricostruzione e la rinascita della Valtellina e delle adiacenti zone … colpite dalle eccezionali avversità atmosferiche dei mesi di luglio e agosto 1987) e assegnati a Como dalla legge regionale 23/92 detta “Valtellina” con un contributo in conto capitale di ~8,26 milioni di euro. Si trattava anche di arrotondare il bottino con i fondi europei per la difesa dei territori minacciati da dissesto idro-geologico. Di quale dissesto si tratti per Como un giorno ce lo spiegheranno! Rompendo gli indugi, 15 giorni prima delle elezioni amministrative del 2007, il sindaco Bruni ha assegnato il contratto d’appalto all’impresa SACAIM Spa, da attuare in circa tre anni, per un importo complessivo di 15.763.310,39 euro (salvo imprevisti e lievitazione dei costi e dei tempi, sui quali si può sin d’ora scommettere) dei quali 1.818.974,00 direttamente sborsati dal comune di Como, impegnando così le future amministrazioni, qualunque differente orientamento potessero esprimere sul progetto, con l’ulteriore aggravio delle manutenzioni degli apparati elettromeccanici che le previsioni ottimistiche del palazzo individuano in circa 50 mila euro l’anno. Purtroppo, prima delle elezioni non ci si limita più, come un tempo, a riasfaltare le strade…A chi fa notare (visto tra l’altro che da anni non si verificano fenomeni di esondazione) che l’opera nel complesso è inutile, l’amministrazione – riconfermata dalle elezioni 2007 – per bocca dell’assessore alle grandi opere, risponde che la sistemazione delle fognature è comunque necessaria e che la condizione per rientrare negli stanziamenti della legge “Valtellina” era che il progetto venisse realizzato nel suo complesso, senza però specificare che gli oltre 1,8 milioni a carico dell’amministrazione avrebbero potuto, probabilmente, risolvere la questione delle fognature senza metter mano al resto delle opere, appunto inutili e con buona probabilità dannose. Nel 1996, quando ancora il problema acqua alta poteva essere plausibile, si tenne a Como un convegno con esperti nazionali e internazionali che prospettò una soluzione che non presupponeva alcuna opera modernista di devastazione dell’ormai storico lungolago, ma semplicemente una più efficace regimentazione dei livelli idrometrici del lago. Tali conclusioni furono presentate anche all’amministrazione comunale. Di quali motivazioni abbiano addotto gli amministratori per cestinare l’ipotesi di soluzione a costo zero, proposta dal convegno, non si ha notizia.A questo punto non ci sarebbe neppure da meravigliarsi se i “cuochi di frittate”, a spese dei contribuenti, si attaccassero alle penali a carico dell’amministrazione nel caso di rescissione del contratto d’appalto. Ma a tale proposito è facile rispondere: meglio la penale … che il disastro! E poi, perché tanta fretta nel creare il fatto compiuto quando ormai l’urgenza di contrastare le esondazioni riguarda il proprio pregiudizio (e non solo) ideologico-sviluppista e affaristico che impedisce persino di riflettere sulle ripercussioni ambientali ed economiche delle proprie decisioni?




L’appetito vien mangiando




Il 28 febbraio 2008 spunta sul Corriere di Como il riflesso di un bel teatrino. Ormai, visto il basso livello del regime idraulico del lago degli ultimi anni, il progetto paratie è inutile. Perché non trovare il modo di renderlo di nuovo “utile”? Il Consorzio dell’Adda si incarica di trovare la risposta: il sistema contro l’esondazione potrebbe infatti consentire di variare il disciplinare che regola lo zero idrometrico del lago che a Malgrate è posto alla quota assoluta di 197,46 m sul mare. Innalzandolo di circa un metro è possibile aumentare le riserve idriche del lago a servizio del Consorzio dell’Adda e dell’uso a fini irrigui ed industriali. Cosa ciò comporterebbe in termini di erosione e instabilità delle sponde su tutto il bacino lacustre (per l’effetto combinato dell’aumento di quota e del moto ondoso) e per la navigazione, non è dato sapere. I problemi che creerà agli altri comuni rivieraschi non paiono riguardare i fautori dell’aumento della quota del lago che, a giustificazione, non mancheranno di dire del valore strategico delle risorse idriche da consegnare alle magnifiche e progressive sorti del libero mercato … Chissà, poi, che non ci scappi pure un’altra bordata di opere per riparare i danni creati dalla prima. Come si sa l’appetito vien mangiando … “e io pago” direbbe Totò.




Molti dubbi sul progetto




Le notazioni relative alle scelte, alle contraddizioni ed ai pregiudizi che le hanno determinate, sono confermate anche solo da uno sguardo a volo d’uccello sul progetto.Ci siamo anzitutto chiesti: quali sono le sue basi conoscitive dei fenomeni che si intende affrontare e sanare? Dalla lettura della Relazione Generale e della Relazione Idraulica emerge che tutto lo studio è basato su rilevamenti quantomeno datati:• le quote del lago a cui si riferisce il progetto sono quelle effettuate tra il1946 e il 1987 dalla stazione idrometrica di Malgrate;• la distanza, via lago, tra Como e Malgrate è di circa 50-60 Km; si presuppone che le quote del lago in piazza Cavour a Como siano le stesse rilevate a Malgrate; non viene considerato l’apporto idrico specifico del ramo di Como col suo rilevante bacino imbrifero e gli effetti dei venti dal quadrante nord che ostacolano il deflusso delle acque verso il ramo di Lecco (l’unico sbocco idraulico dell’intero bacino lacustre);• non vi è alcun riferimento a rilevazioni storiche del livello dalle esondazioni in piazza Cavour;• non vi è alcuno studio o rilevazione sugli effetti del moto ondoso e del vento;• si prendono in considerazione dati sulla subsidenza (e cioè sul fenomeno di progressivo abbassamento del suolo di piazza Cavour e del lungolago) solo tra il 1983 e il 1990;• non ci sono dati (se non ipotetici) sul fenomeno di subsidenza e sulle relative quote delle falde sotterranee dal 1990 ad oggi e cioè per un periodo di almeno 18 anni.Ma come, si spendono più di 15 milioni di euro sulla base di dati (quando ci sono) di 20 e più anni fa?




Con quali conseguenze?




Da qualche anno il tema dei cambiamenti climatici del pianeta è all’ordine del giorno. Dalle nostre parti assistiamo a lunghe e periodiche fasi di siccità che, oltre a rendere inutile il sistema di prevenzione delle esondazioni del lago, attivano i rischi opposti relativi all’innalzamento della falda superficiale per effetto delle paratie. A ciò si associa la subsidenza del terreno di piazza Cavour. Cosa succederebbe sulle paratoie (la parte mobile del sistema) visto che tale fenomeno prosegue o se, come possibile, dovesse accelerare? Quello delle paratoie è un sistema meccanico che, per assicurare la tenuta idraulica, ammette tolleranze dell’ordine del millimetro. Anche spostamenti minimi delle guide di scorrimento ne incepperebbero il movimento, impedendone l’attivazione in caso di necessità (si fa per dire). A tale proposito va anche notato che non è ben chiaro come si intendano realizzare le fondazioni delle paratoie a scorrimento antistanti piazza Cavour e come pensino di stabilizzare il terrapieno a lago ad esse retrostante e destinato ad ospitare il futuro ampliamento della passeggiata e i nuovi attracchi dei natanti. Questo terrapieno pare proprio sfidare, con scarsissime possibilità di successo, le leggi della fisica. E non è finita qui. L’assetto idrogeologico del sistema bacino lacustre – falde superficiali – viene disturbato dalle paratie che realizzeranno un muro continuo impermeabile lungo l’intero sviluppo del lungolago, per circa 600 metri, costituito da iniezioni di cemento e palancole in acciaio con una profondità variabile da circa 8 a 25 metri dalla quota del lungolago. Questo sistema di paratie incide sui flussi della falda superficiale dal sottosuolo della città verso il lago. Il muro sotterraneo che verrà così realizzato frena l’acqua di falda che, non potendo defluite naturalmente verso il lago, tende ad aumentare di quota fino alla superficie, creando – in particolare nel caso di magra del lago – forti sottospinte (che dovrebbero essere state previste) sul sistema di paratie e pressioni sui muri dei cantinati e sulle fondazioni degli edifici (dei quali non si parla neppure) di un’ampia area del centro storico della città e del fronte lago. Il progetto prevede di drenare continuamente la falda superficiale indirizzandola verso il sistema di vasche-volano e successivamente verso il sistema fognario e il depuratore, affidando il tutto, in caso di piena, ad un impianto di pompaggio sia delle acque di falda sia delle acque meteoriche. Pur non mettendo in discussione i calcoli idraulici che hanno determinato il dimensionamento delle vasche (di 11.900 m³) e del sistema elettromeccanico di evacuazione delle acque sotterranee e superficiali, non abbiamo trovato una risposta alla seguente domanda: cosa succederebbe se un black-out dovesse mettere fuori uso anche solo per qualche ora il sistema di evacuazione? Anche un generatore a gasolio d’emergenza (se previsto) dovrebbe contemplare la possibilità di un guasto e, quindi, prevedere una difesa passiva (ad esempio un sistema di sifonamento idraulico) dalle conseguenze di una tale eventualità, neppure tanto remota vista la fragilità del sistema elettrico italiano (ricordate il black-out nazionale di qualche anno fa a causa del traliccio crollato in Svizzera?)




Scenari “veneziani”…




Insomma, si potrebbe innescare un casino alla MOSE. Proporremo un apparentamento con Venezia (dove peraltro il sindaco è contrario) e col Patto di Mutuo Soccorso che si batte contro il TAV in Val di Susa, contro il Dal Molin a Vicenza, contro megacentrali, inceneritori e megaprogetti devastanti come quello del ponte sullo Stretto che Berlusconi si ostina a riproporre e, appunto, contro le megadighe veneziane per la costruzione delle quali già si incontrano notevoli difficoltà realizzative che hanno bloccato i lavori (di questo, forse, anche SACAIM ne sa qualcosa).

… con timide proteste




Su tutto questo affare non c’è stata alcuna seria informazione dell’opinione pubblica da parte delle varie amministrazioni che si sono cimentate col progetto. Ciò nonostante la popolazione di Como ha espresso, in un recente sondaggio apparso sulla stampa locale, la sua contrarietà all’80%. Si è detta più preoccupata dei “disagi” che i tre anni (come minimo) di cantiere procureranno e dell’impatto visivo che non per quello complessivo che l’opera produrrà sia sul soprasuolo sia nel sottosuolo e cioè di quel che veramente cela la staccionata. La popolazione, dopo anni di parole, è sembrata quasi sorpresa dal fatto che, effettivamente, questa volta il cantiere sia iniziato, ma non vi è stato alcun accenno di reazione in particolare tra chi si sente solo marginalmente toccato dal problema, e al massimo lo giudica uno spreco di denaro pubblico che, in un modo o nell’altro, si è costretti a subire dalla “casta”, per niente confortato dall’ormai classica bugia che “non verranno messe le mani nelle tasche dei cittadini”.Certamente non ci possiamo accontentare della sindrome NIMBY (non nel mio cortile) sollecitata da una parte della stampa locale. Si pone per noi il problema di svolgere una battaglia in profondità che indichi la valenza reale del progetto e le sue conseguenze su tutti i piani, non solo quindi su quello economico e di impatto visivo, ma anche e soprattutto su quello generale, sulla vita stessa della natura e degli esseri umani. Si tratta di contrastare l’idea generale che la realizzazione di “grandi opere” significhi miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. In realtà “grandi opere” significa, più prosaicamente, indurre nuove occasioni di affari inducendo maggiori attività e quindi ancora più sviluppo e consumi a fine di profitto, assoggettandovi tutte le risorse. Questa ideologia va combattuta perché la qualità dell’attività e del “benessere” così prodotti si basa sull’utilizzo dei beni comuni come merce sottratta alla collettività e all’equilibrio della natura e assoggettata al mercato che oggi, come anche l’affare rifiuti in Campania dimostra, produce solo degrado e disastri.